Si è parlato di «coma», «condizioni irreversibili», «terapia intensiva», «gravi complicazioni». Quando diceva delle sigarette: «Queste saranno la mia morte»

Si è parlato di «coma», «condizioni irreversibili», «terapia intensiva», «gravi complicazioni», ieri si è aggiunto il termine «malattia». Ma la domanda che si pongono tutti resta sempre la stessa: che cos’ha esattamente Sergio Marchionne? Che cosa lo tiene inchiodato a un letto dell’Universitätsspital di Zurigo, dove è ricoverato dal 28 giugno? Ieri, nel giorno d’inizio dell’era di Mike Manley, nelle ore della prima riunione operativa del dopo-Marchionne in Fiat Chrysler, è stato Franzo Grande Stevens ad aggiungere un nuovo passaggio per spiegare un po’ di più cosa c’è dietro le drammatiche condizioni di salute dell’ex numero uno di Fca. L’uomo che per molti anni è stato l’avvocato della famiglia Agnelli ha scritto, in una lettera al «Corriere Della Sera», di «Sergio, miglior amico di una vita», considerato «mio fratello». E ha parlato di «dolore indicibile per la sua malattia», specificando di aver avuto da Zurigo «la conferma che i suoi polmoni erano stati aggrediti e che era vicino alla fine».

Di quale malattia parla? Chiunque abbia letto le sue parole si è sentito autorizzato a dedurre che si tratti di un tumore ma nemmeno dopo quelle affermazioni qualcuno dalla famiglia, dalla Fca o dall’ospedale ha voluto rompere il muro del silenzio assoluto. Nessun commento e, com’era già successo nei giorni scorsi davanti al susseguirsi di ipotesi, nessuna conferma. Se non altro – e in questo clima chiusura totale è già qualcosa – non è arrivata nemmeno una smentita. Dall’Italia alcune persone che hanno a che fare con il suo entourage si dicono certe che sì, di questo si tratta. Di un tumore alla parte apicale del polmone. Se davvero fosse così — e ripetiamo: di certezze non ce ne sono — si spiegherebbero molte cose. A partire dalle «complicazioni dopo l’intervento alla spalla destra», unica informazione medica ufficiale arrivata da Fiat Chrysler. Quel tipo di patologia polmonare porta infatti con sé forti dolori proprio alle spalle ed esperti di oncologia spiegano che intervenire chirurgicamente significa mettere in conto la possibilità (non bassa) di una lesione all’aorta quindi anche al cervello.
Tutto questo, certo, resta una ipotesi, ma sembra la sola al momento capace di tenere assieme la non meglio precisata «operazione alla spalla», il non smentito «coma irreversibile» e l’aggravarsi improvviso e inatteso della situazione di cui ha parlato fin da subito il presidente di Fca John Elkann: fu lui a definire «impensabile» fino al giorno prima lo scenario drammatico davanti al quale si è trovato settimana scorsa venendo a Zurigo, al capezzale del suo allora amministratore delegato. All’Universitätsspital anche ieri, come sempre, al fianco di Marchionne c’era la compagna della sua vita, Manuela, «la mia fortuna», come la definì lui stesso. Per arrivare nella stanza della terapia intensiva dove lui è ricoverato lei non è mai passata dall’ingresso principale, né qualcuno dei tanti giornalisti che aspettano notizie davanti all’ospedale l’ha mai vista uscire o entrare in auto dagli altri ingressi. Un fantasma, provata dallo sgomento di questi giorni e dal tempo che in quella stanza non passa nemmeno a spingerlo, silenziosa davanti a quell’uomo che le è accanto ma non è mai stato così lontano.

 

Qualunque cosa sia, qualunque nome abbia la «malattia» di cui parla l’avvocato Franzo Grande Stevens, nessuno in questi giorni di indiscrezioni e mutismo ha mai nemmeno ipotizzato che la situazione sia recuperabile. «Sergio non tornerà più» ha detto nel suo ultimo messaggio John Elkann senza lasciare spazio alla speranza. L’ex avvocato degli Agnelli ha invece scritto nella sua lettera di aver pensato subito «che fosse in pericolo di vita» perché «conoscevo la sua incapacità di sottrarsi al fumo delle sigarette». Diceva spesso: «Queste saranno la mia morte». E ne accendeva una

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